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Oggi cominceremo la trattazione del diritto penale, una delle branche più complesse, ma allo stesso tempo affascinanti del mondo del diritto.
In particolare, oggi parleremo delle teorie della pena e dei compiti spettanti al diritto penale.
Al termine dell’articolo, ci sarà un link che vi porterà in una pagina di quiz riguardanti gli argomenti trattati, in modo da verificare quanto acquisito.
Si parte, buona lettura!
Indice:
LE TEORIE DELLA PENA
Nel corso degli anni vi sono stati tantissimi cambiamenti per quanto concerne la pena, basti pensare che nel Settecento dominavano pene efferate, come la pena di morte e le pene corporali; nel corso dei due secoli successivi si assiste poi ad una progressiva attenuazione della sua durezza, fino ad arrivare all’abolizione della stessa pena di morte in molti Paesi.
Oggi, infatti, è il carcere ad avere un ruolo di centralità all’interno dei sistemi penali.
Bisogna comprendere però cosa legittima lo Stato al ricorso della pena. Al riguardo sono state elaborate 3 teorie:
Teoria assoluta
- Teoria della retribuzione: tale filone configura la pena statuale come un male inflitto dallo Stato per punire il male inflitto da un uomo ad un altro uomo o allo Stato. La forma più primitiva di tale teoria era rappresentata dalla legge del taglione (occhio per occhio, dente per dente) Questa teoria viene anche designata come assoluta, poiché è svincolata da qualsiasi scopo: si punisce semplicemente perché è giusto.
Teorie relative
Le successive due teorie invece si distinguono dalla prima perché assegnano uno scopo, una finalità alla pena, concentrandosi sugli effetti di quest’ultima. Per tale motivo, tali teorie sono definite relative:
- Teoria della prevenzione generale (o generalpreventiva): tale teoria si concentra sugli effetti di intimidazione della pena, la quale rappresenta lo strumento che consente alla generalità dei suoi destinatari di orientare le scelte di comportamento. La norma penale in questo caso assume anche un’azione pedagogica, confidando in una spontanea adesione ai valori espressi dalla legge (cd. orientamento culturale)
- Teoria della prevenzione speciale (o specialpreventiva): secondo tale orientamento, la pena è lo strumento per prevenire che l’autore di un reato non commetta in futuro altri reati. Tale funzione può avvenire in 3 forme:
- Risocializzazione: aiuto al condannato di reinserirsi all’interno della società:
- Intimidazione: nel caso in cui il condannato non voglia o non possa essere reinserito:
- Neutralizzazione: nel caso in cui il condannato non sia suscettibile né di risocializzazione né di intimidazione. L’obiettivo, quindi, è quello di renderlo “innocuo”.
Una volta definite tali teorie, bisogna attenzionare un aspetto: non esiste una teoria che si imponga come predominante, e questo perché la prevalenza dell’una e dell’altra teoria dipende dal tipo di Stato che viene preso in considerazione.
Per fare un esempio: nel nostro ordinamento tutti i poteri dello Stato concorrono all’esercizio della potestà punitiva, ma in modi differenti: il potere legislativo seleziona i comportamenti penalmente rilevanti, formulando comandi e divieti e minacciando le pena ai trasgressori; il potere giudiziario accerta la violazione dei precetti penali e ad applica la pena al caso concreto; il potere esecutivo si occupa infine di far sì che la pena abbia esecuzione.
Di seguito uno schema che riassume quanto detto fino ad adesso.
EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA DEL REATO
Il diritto penale è caratterizzato da tantissimi cambiamenti nel corso dei secoli, ma probabilmente quello più rilevante riguarda il modo di intendere il reato, in relazione alla selezione dei comportamenti da reprimere.
In particolare, vi sono 3 momenti fondamentali da considerare:
- Medioevo: non vi era una chiara distinzione tra peccato religioso e reato civile, e questo perché la Chiesa cattolica aveva un’enorme influenza sulle leggi e la giustizia. In sostanza, si reprimevano comportamenti in quanto contrastanti con la legge divina.
- Illuminismo: si consolida la separazione tra reato e peccato ed il primato dell’oggettivo sul soggettivo. È il periodo in cui lo Stato teocratico cede il passo ad uno Stato laico e liberale, ed è in questo contesto che si inserisce la secolarizzazione del diritto penale. Vi sono diversi uomini che contribuirono a tutti ciò, affermando nozioni e principi ancora oggi presenti, su tutti Cesare Beccaria, il quale afferma che la vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione e non l’intenzione di chi lo commette (dolo e colpa assumono il ruolo di meri limiti alla responsabilità dell’autore del fatto);
- Scuola positiva: vi è un nuovo indirizzo criminologico che mette al centro l’uomo delinquente, sulla base delle caratteristiche biologico-semantiche del singolo individuo, per lo più appartenente alle classi sociali pericolose. Si afferma dunque che la lotta alla criminalità non dovrebbe riguardare il catalogo dei reati, bensì il reo.
I risvolti illiberali di tale concezione affidano al giudice poteri incontrollabili, consentendogli di applicare misure restrittive della libertà personale in presenza di dati incerti come la pericolosità sociale, ancorando a questi la durata della pena.
Per tali ragioni, questo filone dottrinale viene attaccato da chi era contrario a tale visione.
Ecco lo schema relativo ai vari periodi.
RICORSO ALLA PENA DA PARTE DEL LEGISLATORE
Prevenzione
Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima in chiave di prevenzione generale, che però incontra un limite nella funzione di prevenzione speciale, cioè di rieducazione, contenuta nell’art. 27 Cost.
Da questo punto di vista, appare problematica all’interno del nostro ordinamento la presenza della pena dell’ergastolo, la quale impedisce al condannato di ritornare nella società: per tale motivo sono stati previsti una serie di istituti, su tutti quello della liberazione condizionale (che verrà trattato nei prossimi articoli), che attenuano la “pesantezza” dell’ergastolo.
È proprio grazie a questo temperamento che la Corte Costituzionale non ha dichiarato l’incostituzionalità di tale pena detentiva, definita perpetua.
Criteri-guida per la selezione di fatti penalmente rilevanti
Vi sono diversi criteri che orientano il legislatore nella scelta dei fatti che assumono rilevanza dal punto di vista penale.
Principio di offensività
Non vi può essere reato senza che vi sia un’offesa ad un bene giuridico. Il catalogo dei beni varia continuamente, in relazione ai mutamenti degli assetti sociali: ai beni individuali (vita, integrità fisica. etc.) e collettivi (amministrazione della giustizia, incolumità pubblica etc.) oggi si affiancano nuovi beni in relazione allo sviluppo tecnologico, digitale ed economico.
La Corte ha attribuito a tale principio rango costituzionale come vincolo:
- Per il legislatore, il quale deve reprimere fatti che nella loro configurazione astratta presentino un contenuto offensivo di beni ritenuti meritevoli di protezione: si parla di “offensività in astratto“;
- Per il giudice, il quale deve svolgere un’attività di incasellamento, dovendo verificare la riconducibilità del fatto concreto all’interno della cornice astratta di reato: si parla di “offensività in concreto“.
Principio di colpevolezza
La legittimazione del ricorso alla pena da parte del legislatore esige anche di qualcos’altro: è necessario che l’offesa riguardante un bene giuridico debba essere personalmente rimproverabile al loro autore. Si fa dunque riferimento al principio di colpevolezza, che assume rango costituzionale grazie all’art. 27 Cost. (principio di personalità della responsabilità penale).
Tutto ciò si collega alle funzioni della pena:
- Generalpreventiva: è impensabile punire un soggetto quando il fatto vietato non è frutto di libere scelte di azione o non possa essere evitato con la dovuta diligenza:
- Specialpreventiva: la rieducazione del condannato postula almeno la colpa dell’agente, chi non ha colpa infatti non ha bisogno di essere punito (In relazione a ciò, assume particolare rilevanza la sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale, che verrà trattata quando si parlerà di colpevolezza).
Principio di proporzione (o di meritevolezza della pena)
Il principio di proporzione è fondamentale, in quanto fa riferimento alla necessità di un equilibrio fra vantaggi che si possono attendere per la società in relazione ad una comminatoria di pena (prevenzione) e i costi immanenti della sua previsione (come la privazione della libertà).
In altre parole, considerando anche quanto detto in precedenza, è necessario che il fatto si collochi al di sopra di una soglia di gravità, motivo per cui solamente offese sufficientemente gravi colpevolmente arrecate ad un bene giuridico sufficientemente importante meritano il ricorso alla pena.
Vi sono però degli aspetti da considerare:
- Non tutte le offese si equivalgono: il danno è cosa diversa dal pericolo;
- Non tutti i beni giuridici si equivalgono: la vita o l’incolumità pubblica assumono sicuramente molta più importanza rispetto al patrimonio individuale;
Principio di sussidiarietà
Infine, eccoci giunti al principio di sussidiarietà, il quale afferma che la pena deve essere utilizzata come extrema ratio, ovvero solo quando strettamente necessaria.
La rilevanza di tale principio (ricollegabile all’art. 13 Cost.) ha ispirato il legislatore in una serie di interventi di depenalizzazione, che hanno trasferito diversi reati tra gli illeciti amministrativi.
Ecco qui lo schema riassuntivo:
Abbiamo concluso il primo argomento della nostra trattazione di diritto penale, spero vi sia stato d’aiuto e vi sia piaciuto!
Per verificare quanto appreso in questo articolo ho creato dei quiz, per accedere vi basterà cliccare qui e successivamente sul tasto “Inizia” del box denominato “Legittimazione e compiti del diritto penale”.
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Non mi resta che darvi appuntamento al prossimo articolo, in cui parleremo del principio di legalità, a presto!
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